Il contesto non è solo lo sfondo della nostra vita: è il terreno fertile (o sterile) in cui crescono le nostre abitudini.

Quello che pensiamo, come reagiamo, persino il modo in cui amiamo o lavoriamo… non è solo una questione di scelta personale. È il riflesso delle regole non dette, delle aspettative implicite e delle narrazioni che assorbiamo, senza accorgercene. E che generano il nostro mindset.

Nelle famiglie: le abitudini si tramandano come storie segrete

Una madre iperprotettiva spesso è stata una figlia ipo-protetta. Un padre distante forse è cresciuto in un contesto che gli ha insegnato a non sentire. Le abitudini diventano copioni invisibili, che si ripetono finché qualcuno non li mette in discussione.
Domanda chiave: Che abitudini stiamo agendo e dunque trasmettendo, senza volerlo, ai nostri figli?

Nelle aziende/professioni: le abitudini diventano cultura silenziosa

“Si fa così” solo perché “si è sempre fatto così”. Si evitano i conflitti per paura di “rompere gli equilibri”. Si corre, ma non si pensa. In ambito professionale, le abitudini si radicano in processi, linguaggi, rituali: spesso utili, talvolta limitanti.
Come scrive E. Schein, la cultura organizzativa è fatta di credenze condivise e di tabù non detti: “Questa è la nostra cultura. Qui si fa così.” O come direbbe R. Dilts/MMI “le nostre convinzioni creano le nostre scelte e queste determinano le nostre azioni”
Domanda chiave: La cultura che stiamo costruendo favorisce l’apprendimento o la rigidità? Mettiamo in discussione le convinzioni che ‘circolano’? Siamo disposti a farci delle domande per favorire un growth mindset?

Nella società: le abitudini diventano automatismi collettivi e norme invisibili

Viviamo in una società che ci insegna ad andare veloci, a rimanere connessi, a produrre, a performare. Le piattaforme ci spingono a scrollare senza sosta, a reagire più che a riflettere, a rincorrere il “like” come conferma di valore.
Il contesto digitale plasma le nostre abitudini più di quanto immaginiamo: pensiamo di scegliere, ma spesso siamo guidati da logiche di marketing e algoritmi che determinano cosa vediamo, quanto tempo ci soffermiamo, cosa ci emoziona.
Viviamo in un’epoca in cui è facile confondere la quantità di stimoli con la qualità della vita, la reattività con la partecipazione, il consumo con il benessere.
Domanda chiave: Come possiamo creare spazi di ‘vita in presenza’ per pensare davvero, sentire davvero, sperimentarci davvero?

‘Ogni abitudine ha una storia. Ogni automatismo ha un contesto che lo ha generato. Ma diventare consapevoli di queste radici è l’unico modo per scegliere se continuare a ripetere o trasformare. La libertà comincia nel momento in cui smettiamo di dare per scontato il nostro ‘contesto’ e iniziamo a chiederci: ‘Chi sono io, dentro questa storia?’