Riflessioni sistemiche per un 1° maggio che parla
al cuore (e al futuro) dei nuovi lavoratori

“Non cerchiamo più un lavoro qualunque. Cerchiamo un lavoro che abbia un senso. Un lavoro che ci faccia sentire vivi.” (V. Zampini, 2022)

Oggi, 1° maggio, celebriamo il lavoro. Ma quale lavoro, esattamente? Quello che consuma risorse o quello che le attiva? Quello che inchioda o quello che libera?

Le nuove generazioni – Millennials e Gen Z – ci stanno parlando con forza. Non cercano solo sicurezza economica. Cercano coerenza con i propri valori, libertà di scelta, impatti reali, spazi per respirare. Il lavoro non è più solo un posto, ma un posto nel mondo.

“Il lavoro è oggi un luogo psichico: se non ci sentiamo rappresentati da ciò che facciamo, ci ammaliamo nel fare.” (V. Zampini, 2025)

Nel mio lavoro clinico e organizzativo – tra imprese, contesti oncologici, équipe in affanno o in rinascita – lo vedo ogni giorno:
la vera sfida oggi non è solo lavorare.

La sfida è non smarrirsi nel lavoro.

È tempo di ripensare il senso profondo del lavorare:
• non solo prestazione, ma relazione
• non solo identità, ma appartenenza

• non solo obiettivi, ma scopo

 

Dobbiamo accompagnare persone e organizzazioni a “umanizzare il lavoro”. A trasformare luoghi di fatica in spazi di senso. A fare in modo che anche la leadership sia generativa, non estrattiva. A integrare produttività e benessere, in un equilibrio che rispetti la complessità delle vite reali.

“Il lavoro può essere un luogo di burnout o di fioritura. Tutto dipende da come lo abitiamo e da chi ci accompagna.” (V. Zampini, 2023)

In questo 1° maggio, il mio augurio è questo:
che ciascuno trovi un lavoro che cura,
che non dimentica la persona dietro il ruolo,
che non dimentica il corpo dietro la performance,

che non dimentica il sogno dietro l’obiettivo.

“Non esiste empowerment senza scopo. Non esiste innovazione senza ascolto. Non esiste lavoro sano senza umanità.” (V. Zampini, 2024)