Il mindset per risvegliare la coscienza
“L’uomo non nasce con un’anima, ma con la possibilità di costruirne una.”
G.I. Gurdjieff, Frammenti di un insegnamento sconosciuto (1949)
Gurdjieff descriveva l’essere umano come una carrozza trainata da cavalli, guidata da un cocchiere e abitata da un passeggero.
La carrozza è il corpo, i cavalli rappresentano le emozioni, il cocchiere la mente e il passeggero la coscienza.
Quando il passeggero dorme, mente ed emozioni guidano da sole: la vita diventa una sequenza di automatismi, dove reagiamo più che scegliere. È il sonno della coscienza, una condizione che somiglia a ciò che oggi definiremmo disconnessione dal Sé o scissione funzionale tra corpo, mente e affetti.
Sul piano psicologico, questo sonno coincide con la ripetizione di pattern emotivi e relazionali appresi, analoghi ai modelli operativi interni di Bowlby (1969).
Così, il cocchiere continua a percorrere le stesse strade — le credenze e le abitudini — mentre i cavalli corrono secondo impulsi incontrollati.
La mente e l’emozione, non integrate, diventano forze divergenti.
Come ricorda Minuchin (1974), la rigidità di un sistema nasce proprio dall’incapacità di ridefinire le proprie regole interne: si resta prigionieri di una “coazione a ripetere” che impedisce ogni cambiamento.
Il risveglio del passeggero rappresenta invece la riattivazione della coscienza riflessiva: la capacità di osservare, scegliere, integrare.
È il momento in cui corpo, emozioni e pensieri tornano a dialogare, ricomponendo la frammentazione interna.
Siegel (1999) descrive questa integrazione come il fulcro della salute mentale: solo quando le parti della mente si connettono, nasce la flessibilità, l’empatia e la consapevolezza.
Nella prospettiva sistemico-relazionale, il passeggero non è un’entità separata ma la funzione riflessiva del Sé, capace di dare senso e direzione ai sottosistemi interni.
Giacometti (2011) definisce questo processo come un passaggio “dalla ripetizione alla trasformazione”: la possibilità di scegliere percorsi nuovi, anziché restare prigionieri delle narrazioni originarie.
Il terapeuta, come il passeggero che si risveglia, accompagna la persona a ricostruire un senso di direzione interiore.
Andolfi e Angelo (1982) ricordano che la trasformazione nasce quando il sistema ritrova il coraggio di esplorare i propri conflitti sommersi, riattivando la possibilità del movimento.
Allora la mente non è più un cocchiere che obbedisce alle abitudini, ma uno strumento al servizio della coscienza; le emozioni non più cavalli impazziti, ma energie vitali che spingono il viaggio verso scelte consapevoli.
Risvegliarsi, nel linguaggio terapeutico, significa riappropriarsi della guida: riconnettere pensiero, sentimento e corpo in una trama viva, capace di sentire e di scegliere.
“E’ il momento in cui la coscienza torna alla guida della carrozza, e la vita — finalmente — prende una direzione che ci appartiene davvero”.